giovedì 19 marzo 2009

un'altra cosa seria

Lo so che i nostri affezionati frequentatori avrebbero preferito un post di tutt'altro tono, specie dopo così tanto tempo senza notizie; ma ci sono varie cose in corso, quindi il vostro fido scriba ha preferito pubblicare una sorta di relazione, richiestaci dalla mitica pediatra del piccolo don, che dovrebbe finire in mano ai vertici della asl 3. Giudicate voi, noi intanto tocchiamo ferro per gli eventuali esiti.
Il caso di Riccardo è esemplificativo di come e quanto sia difficile, per una famiglia che si ritrova a dover gestire un bambino disabile, vedere riconosciuti quei diritti indispensabili a garantire al proprio figlio una accettabile qualità della vita, ricadendo nel paradosso che proprio ciò che dovrebbe costituire un aiuto sostanziale diventa un problema in più da risolvere, con conseguenze tanto ovvie quanto evidenti.
Riccardo nasce nel giugno del 2006 alla 25ma settimana di gestazione, all’esito di una gravidanza gemellare con morte intrauterina del fratello. Le sue condizioni, determinate soprattutto da un’emorragia cerebrale intraventricolare, richiedono un periodo di permanenza presso l’Unità di Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale Garibaldi di Nesima che si protrae per ben 5 mesi, per due dei quali il nostro bambino resta intubato. La degenza è contrassegnata da frequenti crisi respiratorie e convulsioni trattate con fenobarbitale, nonché da interventi chirurgici per la chiusura del dotto di Botallo e per il trattamento della retinopatia. Inoltre un’infezione sistemica particolarmente grave, tale da mettere seriamente a rischio la vita del bambino, richiede un trattamento antibiotico con gentamicine che riesce infine a debellarla ma causa come conseguenza una sordità profonda bilaterale. Superato questo momento di crisi particolarmente grave, tuttavia, le condizioni del piccolo cominciano a migliorare lentamente ma costantemente fino a consentirne la dimissione.
Su indicazione del Direttore dell’UTIN, il bambino viene immediatamente portato presso il reparto di audiovestibologia dell’ospedale di Circolo di Varese; dove l’equipe del dott. Sandro Burdo, che rappresenta un’eccellenza assoluta per il trattamento della sordità specie nel caso di bambini molto piccoli e con quadro neurologico complesso, lo prende in carico dando inizio al percorso che lo porta a ricevere l’impianto cocleare ad agosto del 2008. Nel frattempo, parallelamente ai trattamenti per la preparazione all’impianto suddetto, il bambino frequenta quotidianamente un centro di riabilitazione a Catania (il CSR di via Casagrandi), dove si cerca di aiutarlo a correggere la grave ipoposturalità che lo affligge e che è conseguenza dell’emorragia cerebrale patita alla nascita. Nel 2007, infatti, il Prof. Giovanni Cioni (Direttore dell’istituto Stella Maris di Pisa), che supervisiona e indirizza l’attività riabilitativa a cui è sottoposto Riccardo, ha diagnosticato che da tale emorragia è esitata una forma di paralisi cerebrale infantile di tipo discinetico.
In sostanza la situazione è la seguente: pur avendo fatto grandi progressi sul piano della capacità di comunicazione, Riccardo non riesce a stare seduto da solo, ha una grave ipotonicità del tronco e non controlla il capo; non riesce ad afferrare nulla con le mani ed ovviamente non cammina. Dipende quindi totalmente dagli altri, non avendo alcuna autonomia. Certo, molti progressi sono stati fatti, rispetto al giorno delle sue dimissioni; ma la strada che ci si ritrova a percorrere è lunga e accidentata, e soprattutto senza alcuna certezza di poter giungere al suo pieno recupero. Eppure, anche solo per arrivare allo stato attuale sono stati fatti sacrifici tutt’altro che piccoli, da parte della nostra famiglia. Le trasferte a Varese hanno avuto una cadenza di circa una volta al mese, e più di una volta mamma e bambino vi hanno passato dei lunghi periodi; nel 2008, in concomitanza dell’impianto, c’è stata la necessità di rimanere continuativamente nella città lombarda per 8 mesi. A ciò vanno aggiunte le trasferte alla Stella Maris di Pisa, anche se molto più rarefatte, per le verifiche periodiche del quadro neuromotorio, o quella all’ospedale Regina Margherita per valutare la condizione dell’apparato urogenitale.
Tutti questi spostamenti e soggiorni lontano da casa, per quanto paradossale possa sembrare, finora sono stati a nostro totale carico, dato che a tutt’oggi non è pervenuto alcun emolumento legato alla condizione di invalidità del bambino. Ma affrontiamo questo argomento partendo dall’inizio: a gennaio del 2007 abbiamo fatto domanda per il riconoscimento della condizione di handicap e dell’invalidità civile nonché del sordomutismo. La visita presso la commissione è avvenuta in condizioni a dir poco disagiate solo nel luglio del 2007, in una giornata caldissima e in mezzo a una calca assordante di persone vocianti, dove il nostro era l’unico bambino presente. Per inciso, all’epoca Riccardo soffriva di grossi problemi di termoregolazione, tanto che la temperatura stazionava perennemente a 38 gradi e mezzo. Dopo circa 8 mesi abbiamo ricevuto il verbale della visita. A dir poco anomalo, perché nonostante il riconoscimento del terzo comma della legge 104, veniva totalmente ignorato il sordomutismo e veniva concessa esclusivamente l’indennità di frequenza; non l’accompagnamento, dunque, che la gravità della condizione di Riccardo - a detta di chiunque, specialista e non - giustificherebbe appieno. Ci siamo dunque visti costretti a proporre ricorso innanzi al giudice, il quale ha fissato l’udienza per il febbraio 2010, e nel frattempo abbiamo presentato due nuove domande per cercare di “regolarizzare” la situazione e soprattutto evitare soluzioni di continuità nel riconoscimento dei diritti e della condizione di invalidità del bambino. Ad oggi (marzo 2009) non siamo giunti a percepire nulla nemmeno di quel poco che ci è stato riconosciuto, pare a causa di non meglio accertati disguidi nel corso della fase in Prefettura, mentre le spese per cercare di assicurare al nostro bambino quanto di meglio la medicina possa offrire non stanno certo diminuendo.
Alla luce di quanto illustrato, risulta evidente come sia necessario, da parte delle strutture pubbliche competenti, varare un approccio differente all’intera questione, che consenta alle famiglie di avere pieno riconoscimento dei propri diritti e delle prestazioni assistenziali e metta altresì la macchina burocratica in condizione di lavorare con maggiore efficienza e rapidità sgravandosi dei costi aggiuntivi dovuti alle carenze di organizzazione.
Come? È anzitutto fondamentale che sin dall’inizio le famiglie ricevano informazioni corrette e univoche, a cura di assistenti sociali competenti ed aggiornati nonché di opuscoli informativi redatti con chiarezza e semplicità. Inoltre, dato che le nascite avvengono in un numero di strutture tutto sommato limitato (dal quale, almeno in prima istanza, possono essere escluse le cliniche, che in genere non sono attrezzate per fornire prestazioni di terapia intensiva neonatale e per i casi a rischio si appoggiano dunque alle strutture ospedaliere), nei casi come quello citato potrebbe essere la stessa equipe medica ad attivare il meccanismo, segnalando agli incaricati del servizio pubblico le famiglie da contattare in ragione del quadro clinico del paziente. Sarà quindi un assistente sociale col “polso della situazione” ad indicare ai genitori tipologia e modalità delle richieste da presentare, evitando sin dall’inizio errori la cui correzione – una volta dato corso alla procedura – risulta complessa per tutte le parti in causa.
Per quanto riguarda le visite presso l’ufficio invalidi, è indispensabile provvedere ad una programmazione differente. Creando per i bambini, che hanno necessità diverse da quelle degli assistiti adulti, una corsia dedicata che permetta il perfezionamento dell’iter in tempi ragionevoli (allo stato attuale, è bene precisarlo, i tempi d’attesa per ogni step superano quelli previsti dalla legge, esponendo la struttura pubblica ad azioni di rivalsa da parte dei cittadini). Ed intervenendo inoltre sui criteri della rivedibilità: stabilire di rivedere dopo tre anni un bambino affetto da una patologia genetica (come ad esempio la fibrosi cistica) o da sordità profonda bilaterale come nel caso di Riccardo, è contrario sia a quanto stabilito dalla legge che al semplice buon senso, ottenendo l’effetto deleterio di ingolfare l’ufficio competente e di richiedere alle famiglie tempo ed energie sicuramente meglio impiegabili per assistere i propri figli. Ed ancora, non meno importante, provvedere allo svolgimento delle visite in locali più idonei rispetto a quelli di via Ventimiglia, la cui carenza logistica ad accogliere numeri consistenti di persone con varie patologie è fin troppo evidente; specie nel caso in cui qualche assistito, magari proprio a causa della calca e delle condizioni di disagio da questa derivanti, dovesse accusare un malore, data l’assenza di strutture mediche di supporto.
Infine, è indispensabile migliorare il coordinamento fra i diversi enti pubblici coinvolti nelle procedure, pena l’arenarsi spesso inspiegabile dei fascicoli ad ogni transito da un ufficio all’altro; magari per l’assenza di un documento burocraticamente essenziale ma che gli interessati non sanno di dover produrre a loro cura. Problema che va affrontato a diversi livelli, ma il cui peso potrebbe essere ridotto, anche in questo caso, da una buona informazione all’inizio dell’iter, magari statuendo di far produrre in un'unica soluzione al primo ente ricevente tutti i documenti necessari anche per le fasi successive, garantendo la completezza di ogni pratica e facilitando il lavoro di tutti gli attori coinvolti.
Tutto ciò con la speranza che domani nostro figlio, e tutti gli altri in condizioni più o meno simili, possano presentarsi nuovamente presso quegli stessi uffici e dire: “grazie per quello che avete fatto per me, ma ormai sono guarito e non ne ho più bisogno”.

1 commento:

Ica ha detto...

Le proposte per una maggiore efficienza burocratica non fanno una grinza, sono decisamente chiare e precise e soprattutto necessarie.
Spero con voi che si faccia qualche passo avanti.